La Cappella Maresca

All’interno del Castello Maresca vi è una piccola, ma suggestiva Cappella consacrata, le cui origini sono qui descritte.

Le scarne cronache serrane raccontano che il marchese Giovan Battista d’Avalos, figlio del principe d’Avalos di Troia e l’ultimo del casato, nonché successore testamentario di Cesare Michelangelo (1667-1729), volle esercitare lo ius primae noctis con una popolana nostrana di non comune beltà. A riscattare la velata immagine familiare provvide il marito della malcapitata, angosciato da un rosicchiante tarlo. Armatosi di schioppo e di certosina pazienza, il castigatore coraggioso si appostò sul campanile di Santa Maria in Silvis.

Di lassù, complici tenebre settecentesche, puntò contro il blasonato bersaglio che, ogni sera e di prima sera, alla fine del banchetto, soleva godersi il chiarore lunare alle finestre del proprio maniero. Un crepitìo improvviso vitalizzò la serotina quiete serrana: l’obiettivo restò indenne. In quell’attimo fuggente, la qualità migliore del killer non fu la mira.

Colui che osò osare si rifugiò, lì per lì, nella cappella del Sacramento di santa Maria in silvis, precipitosamente guadagnata. In quel luogo sacro, catturato dagli sgherri feudali, “ebbe tronche le mani” e trascinato “appié del prepotente”.

Lo impiccarono, senza indugio, nel bosco che il ribelle stesso possedeva non lontano dall’abitato. E al vento della valle, il suo corpo ondeggiò, per giorni e giorni, esempio e monito a reazioni progressiste. Il luogo dove si consumò il macabro rituale si denominò “u’ véle da forch”‘, toponimo rurale (ereditato dalla cultura longobarda) documentato a Serracapriola già nel 1745. “La salutare ribellione fece rimanere inerte” – d’allora in poi – il “trabocchetto” del castello,”orrenda voragine a forma di cono rovesciato”, usato dal cinico e sprezzante d’Avalos per liquidare avversari e vergini ribelli. La finestra del maniero, bersagliata dalla fucilata venne murata; a tergo, per edificarvi una piccola cappella.

Dopo lo scampato pericolo, Giovan Battista d’Avalos, coinvolto anche in vicissitudini patrimoniali, diradò sensibilmente le sue “presenze” in Serracapriola. Il nome del nobile, divenuto sinonimo di terrore, veniva spesso rinverdito nel passato serrano per neutralizzare l’eccitazione dei ragazzi irrequieti e bricconcelli. “Zitti – bastava che lor si dicesse – ché adesso viene il marchese di Vasto! ed essi, poverini, non fiatavano più e, se di sera, si cacciavano sotto le coltri e dormivano!”.